Mozzi Bici – Caratteristiche Tecniche

In questa guida parliamo dei mozzi.

I MOZZI TRADIZIONALI
La misura è la larghezza della battuta sul telaio. Questa dimensione varia tra ruota anteriore e posteriore (100 millimetri la prima, 130 la seconda) ma anche tra i tipi di biciclette. Le mountain bike, ad esempio hanno, sulla ruota posteriore, una battuta da 135 millimetri. I mozzi possono essere con cuscinetti stagni oppure classici con coni, calotte e biglie, i primi non richiedono particolari manutenzioni, non necessitano di lubrificazione e sono in linea generale i migliori, i secondi necessitano manutenzione ma possono anche essere affidabili. Per smontare i mozzi classici servono le chiavi a sogliola (13 x 14 o 15 x 16). Le chiavi a sogliola (perché piatte) serviranno ad intervenire evidentemente sui coni, ma anche (in certi casi) sui controdadi esterni. Per smontare i mozzi utilizzare le chiavi indicate fino a sfilare il perno filettato, fate attenzione a non perdere le biglie, al limite usate una calamita e mettete una mano sul lato opposto di quello da dove sfilate il perno. Ripulite ogni componente con petrolio bianco e verificate le piste sui coni e calotte, se sono usurate sostituite i pezzi. Una volta preparato il perno, procedere all’ingrassaggio delle sedi per le sfere all’interno del corpo mozzo: mettere grasso in abbondanza sulle calotte. Con l’aiuto del grasso, che le mantiene in posizione, inserire le sfere nelle calotte da ogni lato del mozzo prendendo cura di non farle cadere al di fuori delle loro sedi. Avvitare l’altro cono fino in fondo, in modo che non ci sia praticamente più gioco del perno nel mozzo. Avvitate il controdado da un lato per bloccare un cono, l’altro servirà per la registrazione, avvitando con le mani andate a battuta e se il caso chiudete con la chiave fino a sentire che la rotazione del perno è un po’ forzata. Tenete fermo il cono di registrazione e chiudete il secondo controdado. Poi tenete fermo il controdado e allargate il cono in modo da rendere scorrevole il perno (senza giochi alcuni o ticchettii di biglie). Registrare un mozzo è un’arte, ci vuole esperienza ma può dare grande soddisfazione.

I MOZZI SU CUSCINETTI
E’ bene subito precisare che i mozzi a tenuta stagna necessitano comunque di manutenzioni (come del resto quelli tradizionali), il fatto che siano protetti da una guarnizione/schermo fa si che resistano meglio e richiedano meno interventi nel tempo, con risparmio di soldi e/o tempo per le manutenzioni, per questa ragione sono preferibili. Il cuscinetto a sfere rispetto ai semplici coni è decisamente migliore per quanto concerne la registrazione, in questo caso non più necessaria, infatti sono assemblati in stabilimento a pressione. Quando si voglia fare manutenzione su questo tipo di mozzi, almeno una volta all’anno, bisogna rimuovere con un cutter il loro schermo in plastica, lavare le parti in rotazione con sgrassanti, soffiare con aria compressa ed ingrassarli nuovamente con grasso idrorepellente. Nel lavare la bici (un concetto generale), mai utilizzare getti a pressione o solventi sgrassanti non ad acqua (come benzina, cherosene etc..), rovinano le guarnizioni in gomma (e gli schermi di tenuta dei mozzi stagni). Inoltre danneggiano l’ambiente. Se si spara il getto sul mozzo a tenuta stagna e rimane dell’umidità all’interno del sistema c’è il rischio che rovini i cuscinetti. Se indirizzate il getto a pressione, almeno avere l’accortezza di non dirigerlo sul lato cuscinetto ma perpendicolare al mozzo. Stendere un velo di lubrificante anche sulle astine dei bloccaggi rapidi.

Approfondimento:
I bloccaggi sono costituiti da un asse in acciaio CR MO, ergal (più raro e solo su bici da strada) o in titanio, da una parte c’è la filettatura su cui si avvita il cappellotto di chiusura, dal lato opposto una leva fissata su un eccentrico che chiude il mozzo a battuta sulla forcella o sul telaio. Il lavoro del perno è a trazione per cui sono indicati acciaio CR MO e titanio, la lega di ergal è notoriamente meno resistente dell’acciaio e del titanio, quindi poco utilizzata. I cappellotti possono essere in alluminio, ergal o titanio per alleggerire il sistema. Mentre la leva ad eccentrico è spesso realizzata in titanio, per le sue caratteristiche di resistenza e usura. Il peso di uno sgancio rapido leggero è di 40 gr. Circa. La combinazione consigliata è perno in acciaio CR MO e sistemi di bloccaggio in titanio, la differenza di peso del perno tra titanio e acciaio è irrisoria, mentre i cappellotti e la leva di serraggio (forata) fanno la differenza.

Come Allenarsi per il Chilometro da Fermo

Il chilometrista ha soprattutto quella particolare capacità che si evidenzia quando la grande forza volitiva, di proseguire nello sforzo, ha il sopravvento sulla fatica. E’ la famosa “stamina” anglosassone; più resistenza psichica che fisica che spinge l’atleta ai limiti di sopportazione sempre più ampi, a scoprire un fisiologico sempre più lontano. La partenza del chilometrista: “la velocità iniziale” Rappresenta la dote fisica fondamentale di questa specialità. Viene genericamente definita come quel complesso di attitudini fisiche che consentono all’uomo di coprire di corsa un determinato spazio nel minor tempo possibile. Nella corsa con partenza da fermo dobbiamo distinguere tre momenti: uno di accelerazione, uno lanciato ed un altro “terribile”di resistenza lattacida.

Attenzione: questi tre momenti sono influenzati da capacità fisiche diverse e quindi allenate in maniera e con contenuti diversi. Il primo complesso di caratteristiche, che consentono di accelerare, e che definiremo capacità di acquisire rapidamente velocità (il lavoro è tipico degli sprinter puri), interessano assai poco il chilometrista il cui avvio in competizione deve essere controllato e non rabbioso, con una accelerazione potente ma fluida e lunga a tasso ridotto. Una troppo elevata velocità iniziale, porta, invece, un più grande consumo della potente “miscela anaerobica alattacida e lattacida”, con la grave conseguenza di riversare nei muscoli, troppo presto, una grande quantità di lattato che crea difficoltà al dinamismo del lavoro muscolare, rendendo meno efficace la prosecuzione. Per correre la seconda parte rimane ben poco carburante potente e la “miscela” si arricchisce di energia aerobica a basso “numero di ottani” che le fibre lente, inesorabilmente interessate, producono. La velocità crolla vistosamente, l’atleta perde molto più di quanto ha guadagnato velocizzando la prima parte, rendendo folle e scriteriato il tentativo. Quelli di ripartizione sono i peggiori errori che questo specialista può commettere poiché non solo rischiano di vanificare gl’impegni nell’allenamento, in conseguenza dei dubbi che l’inadeguato rendimento fanno sorgere sulla sua utilità ed efficacia, ma oltretutto comportano una così spiacevole sensazione di malessere generale, alla fine della gara, da lasciare dannose memorie per lungo tempo. Accelerazione: la forza e agilità Sono i fattori o la causa che determina l’acquisizione ed il mantenimento della velocità. Le espressioni che influiscono maggiormente sulle capacità di accelerazione sono: quella “massima dinamica” (forza massima dinamica: sollevamento di un carico massimale, un peso da fermo) e” l’agilità”. Sotto l’aspetto biochimico, data l’alta intensità e la brevità dello sforzo (60″ circa), si tratta di una resistenza che si manifesta in conseguenza della utilizzazione di energia di risintesi dell’ATP di tipo anossidativo, proveniente dalla degradazione del glicogeno che si definisce “anaerobica lattacida”, poiché il prodotto finale di tale fenomeno fermentativo è acido lattico, o ancor meglio, lattato (un suo sale). La limitazione alla prosecuzione dello sforzo, in questi casi, non è ancora ben chiaro se dipenda dalla impossibilità della muscolatura a sopportare alte acidità o dalla difficoltà della stessa a produrne, o se, invece, non siano responsabili due motivi collegati. Siccome tale fenomenologia di produzione di energia si svolge nelle fibre veloci, se ne deduce che il chilometrista anche per questo motivo deve possedere un’alta percentuale di queste fibre (nei quadricipiti soprattutto) che sono poi le sole capaci di esprimere quella forza “veloce” cui sopra è stato fatto cenno. Da questa considerazione si possono trarre tre deduzioni: la prima è che qualsiasi sprinter possiede le capacità (cioè il motore) per correre il chilometro con ottimi risultati, solo che sussistano quei pre­supposti psichici di “stamina” e quelli tecnici di facilità di corsa, per realizzare andature veloci ed economiche; la seconda è che la miscela energetica che il chilometrista usa per la sua prestazione è assai povera di energia aerobica, essendo questa prodotta dalle fibre lente che questo specialista dovrebbe possedere in percentuale bassissima; la terza, conseguente alla precedente, è che il corridore chilometrista non deve utilizzare, come mezzo allenante corse di durata, che attingano all’energia aerobica, ma mantenersi, come limite più basso su intensità di corsa che si spingano appena oltre la soglia anaerobica, per essere certi di interessare solamente le fibre veloci. Qualora non si tenesse presente questo consiglio che si da soprattutto gli atleti di alta qualificazione, si rischierebbe non solo di allenare in prevalenza le fibre lente, ma anche di cambiare la cinetica metabolica di quelle veloci, e di trasformare quelle intermedie in lente. Fanno eccezione a questo indirizzo i giovanissimi che possono e debbono utilizzare, come uno dei tanti mezzi dell’allenamento, anche la corsa continua di tipo aerobico, se non diventa un’abitudine troppo marcata. Del resto applicazioni estemporanee di questo lavoro, non possono che giovare al giovane in pieno sviluppo. Il chilometrista utilizza il 30% del combustibile (energia muscolare) dal sistema anaerobico alattacido (fosfati -fosfocreatina), 55% da anaerobica lattacida (glycolytic) e il 15% dal sistema aerobico. Fisiologicamente il metodo migliore per incrementare la potenza anarobica è quello delle ‘prove ripetute su brevi distanze’, dai 50 ai 100 m.) con scatti potenti molto veloci e con un recupero abbastanza lungo (varia dal grado di allenamento del soggetto) proprio per far fronte a prestazioni che richiedono uno sforzo così elevato.

LA RIGENERAZIONE DEL SISTEMA DEI FOSFATI
il sistema anaerobico alattacido, che permette di eseguire gesti alla massima potenza ma per pochi secondi, viene rigenerato completamente in 2-3 minuti. L’andamento evidenzia che dopo 30″ si determini già il 50% del recupero di energia, dopo 60″ il 75%, dopo 2′ più del 90% e dopo 3′ si arriva praticamente al 100% del recupero di energia. Inserire una pausa di recupero tra gli esercizi a potenza massimale e submassimale permette di rigenerare le scorte di fosfati, quindi ritardare la fatica dovuta alla diminuzione dei substrati energetici utilizzati durante l’esercizio e all’eventuale accumulo di acido lattico. Ricordiamo che la sintesi ATP-PC durante la fase di recupero avviene tramite il sistema aerobico, mentre la fosfocreatina indirettamente, grazie all’idrolisi di una parte di ATP che fornisce l’energia per la sintesi della PC. L’importanza del sistema aerobico nel ripristino delle scorte di fosfati si evidenzia con l’aumento del consumo di ossigeno durante la fase di recupero post-esercizio prima del ritorno ai valori basali ( pagamento del debito di ossigeno) che si avevano prima dell’allenamento.

LA RIGENERAZIONE DEL GLICOGENO MUSCOLARE
la risintesi di glicogeno, che entra a far parte del sistema aerobico e anaerobico, dipende da tre fattori fondamentali: la durata dell’esercizio, l’intensità dell’esercizio, l’alimentazione post seduta di allenamento. Dopo l’esercizio lattacido di breve e alta intensità (intermittente) è possibile rigenerare un’importante quantità di glicogeno anche senza assunzione di cibo entro le prime due ore dopo la fine dell’esercizio. Non viene richiesta una dieta di carboidrati superiore alla norma e la completa rigenerazione è molto più veloce che nelle restanti. Quando l’attività fisica ha impegnato prevalentemente il sistema lattacido, per il recupero completo sarà necessario il totale smaltimento dell’acido lattico. E’ stato dimostrato che l’acido lattico prodotto da esercitazioni massimali viene rimosso dal circolo ematico più velocemente se il recupero avviene in modo attivo: un’attività blanda pare abbassi il tempo di smaltimento a circa un’ora. Da esperienze condotte a Barcellona dal dott. Remando A. si è visto che la quantità di lattato ematico dopo una competizione di 1000 metri (sforzo abbondantemente esaustivo per valutare la capacità lattacida) era minore di quella rilevata dopo un test (Vittori) consistente in due prove di 500 metri corse con 2′ d’intervallo, per realizzare il miglior tempo medio. Si può forse ipotizzare, allora, che la limitazione a proseguire la corsa con efficacia dipenda più dalla dinamica di produzione del lattato che da altro, se il suo valore più elevato si riscontra quanto l’accumulo avviene più lentamente ed in tempi successivi e non in una unica rapida soluzione. Tecniche che stimolano una grossa produzione di acido lattico sono cosa buona e giusta per chi vuole aumentare la propria massa muscolare. L’acido lattico fa sì che il pH del sangue diminuisca e a questo fenomeno si associa un notevole aumento di secrezione del GH. L’accumulo di acido lattico è interessante anche perché essendo il glicogeno il suo substrato energetico, nel momento in cui il muscolo supercompenserà si avrà una reazione inversa durante la quale si avrà produzione di glicogeno che andrà a rimpinguare le scorte muscolari dando così fenomeno di ipertrofia. Un po’ di lattato sfugge alla distruzione nel sangue e stimola la produzione di testosterone. Infine l’acido lattico a livello muscolare attiva l’androstenedione trasformandolo in testosterone pronto all’uso, cosa non da poco visto che il testosterone di solito viene inattivato al 90% dalle SHBG e dall’albumina a livello circolatorio, con relativa difficoltà ad arrivare a livello muscolare. Si ha grossa produzione di acido lattico quando si effettuano esercizi alla massima potenza per un periodo di tempo compreso tra 1 e 3 minuti. 1) utilizzo di carichi pesanti con recuperi brevissimi in modo da non dar modo al corpo di smaltire l’acido lattico accumulato. 2) carico medio-alto ripetizioni elevatissime. Ad esempio si può arrivare anche a fare 100 reps con piccolissime pause quando non si riesce più a proseguire.

INTERVAL TRAINING
Risulta essere un metodo di allenamento che prevede l’impegno fisico sempre su distanze, ma rispetto alla seduta di ripetute brevi si deve dare più enfasi alla quantità che non alla qualità. I ritmi di corsa sono quindi meno veloci rispetto alle ripetute brevi, e più corti devono essere anche i tempi di recuperi. La pausa tra le prove dev’essere pari alla durata della fase di lavoro, ed il recupero dev’essere fatto pedalando a ritmo lento. Il metodo classico dell’interval training (friburghese) prevede che non si riparta prima che la frequenza cardiaca sia scesa a 120 battiti al minuto. Questo riferimento è certamente utile per chi si avvicina per le prime volte al metodo di allenamento intervallato.

Come Determinare le Giuste Misure della Bici

Questo argomento è molto importante, quello che scriviamo è il frutto di alcuni anni di esperienza diretta nell’utilizzo della bici, non ha certo la pretesa di essere un trattato assoluto negli argomenti proposti.
Chi pratica il ciclismo da diversi anni, conosce bene questo argomento, ma l’articolo è rivolto soprattutto a coloro che hanno bisogno di alcuni consigli per pedalare correttamente.
Una pedalata non corretta, oltre a non avere la giusta resa in termini di potenza trasmessa sui pedali, può dare dei gravi problemi alle ginocchia e in genere ai muscoli delle gambe.

Incominciamo con il dire che non tutti pedalano allo stesso modo: cè chi pedala di punta, di tacco o di piatto, ovviamente nei tre casi citati, la misura da rispettare è diversa.
Un metodo empirico consiste nel mettersi sulla sella della bicicletta, con i talloni appoggiati sul perno dei pedali si incomincia a pedalare all’indietro senza ondeggiare il bacino. Le gambe si allungano e si distendono al massimo fino al limite. Attenzione: il tacco deve essere con una scarpetta leggera quasi senza suola, se utilizziamo una scarpa da ginnastica (con 2-3 cm di tacco), si alterano tutte le misure. Quando otteniamo questa distanza basterà pedalare con la pianta del piede (e non con il tacco) ed ecco che l’angolo formato dalle gambe risulta quasi ottimale. Infatti le gambe non devono essere troppo tese, mentre la coscia e tibia-perone devono formare un angolo di 160 circa (il ginocchio leggermente flesso).

Un altro metodo empirico è quello di misurare la lunghezza del cavallo, a gambe leggermente divaricate (appoggiati al muro con una squadretta 90), il risultato deve essere moltiplicato per 0,885. Questo risultato è la distanza tra la sella e lasse del movimento centrale (distanza centro MC fine sella). Potete provare i due metodi, comunque laltezza di sella è una cosa soggettiva e come è già stato scritto, dipende dal tipo di pedalata che volete ottenere. Poi cè da dire che lallenamento e lagilità favoriscono lallungamento della gamba, per cui è noto che i principianti pedalino generalmente bassi.

Di solito per le bici da strada la distanza tra tubo orizzontale e sella va dai 12 ai 15 cm. Nei telai moderni ( con angoli sempre più diversificati) vengono usati dei fuori sella maggiori, ma questo non influisce sulla lunghezza complessiva ottenuta con i metodi citati, la pedalata è sempre ottimale allo stesso modo.
Per le bici da corsa la differenza tra sella e manubrio non dovrebbe essere più di 8 cm, assetti molto caricati verso il basso (sportivi) vanno bene per chi fa gare, se si vuole un comfort turistico lideale è 2-3 cm di differenza tra sella e piantone manubrio.

Le MTB devono avere 2-4 cm di differenza tra sella e manubrio (perché nelloff-road viene premiata la guidabilità e non laerodinamica)..
Le donne sono generalmente più corte di busto per cui hanno un fuori sella superiore e un tubo orizzontale più corto rispetto agli uomini.

Allungamento curva manubrio (ovvero la lunghezza del piantone manubrio). Per le bici da strada: mettetevi in posizione raccolta appoggiati al muro, fatevi aiutare da qualcuno esterno che vi osservi, trovate il punto in cui lavambraccio è parallelo al terreno, il braccio e la spalla sono leggermente protratti in avanti e il ginocchio nella pedalata supera il gomito. Tutto questo sempre tenendo la posizione raccolta con le mani sotto la curva del manubrio (come in una cronometro).

Attenzione, essere troppo corti vi chiude il diaframma, essere troppo lunghi sforza gomiti e schiena.
Sperando di essere stati chiari ritorneremo sullargomento con approfondimenti.

Come Migliorare le Volate

Fare le volate, non è una cosa per tutti, per prima cosa bisogna essere un pò spericolati, avere ancora benzina nelle gambe ed essere un pò astuti. Vincere o perdere a volte è una questione di fortuna, ma non sempre. Vorrei dare soprattutto ai giovani (esordienti e allievi) qualche consiglio… in che veste? Ma da direttore sportivo (ovviamente) e da “ex velocista” (purtroppo…ormai).

La posizione: stare davanti negli ultimi 5 chilometri, nelle prime posizioni senza però tirare, saltare da una ruota all’altra sfruttando scie escludendo le posizioni troppo laterali per non rimanere chiuso senza la possibilità di uscire nello sprint. La ruota “vincente”, del corridore di punta, è sempre inflazionata (troppi la cercano e la difendono, in genere quelli mediocri) ma nel nostro caso abbiamo la presunzione di essere uno che le volate le vince da solo, allora la ruota buona non ci serve. Quello che dobbiamo fare è avere sempre un varco davanti per uscire.

Siamo agli ultimi 500 metri e sicuramente qualcuno si lancia… la frenesia di arrivare primo partendo da lontano…il, passista veloce. Errore, si pianta, a meno che l’arrivo non sia in discesa… (ma siamo andati a vederlo l’ultimo chilometro nel riscaldamento?) Quando lo sprovveduto parte all’attacco noi siamo lì pronti, a quel punto il gruppo chiude, si trasforma da fronte piatto a cuneo e anche chi è dietro si porta in rimonta, mai lasciarsi imbottigliare, piuttosto uscire allo scoperto è il male minore, tanto dentro al gruppo non si vince la volata. Se facilmente si arriva in testa ai 300-400 metri dare uno sguardo a quelli di fianco e se siamo primi stare sempre su un lato della strada mai al centro, abbiamo così un controllo totale degli avversari, nei 250 metri (a proposito sappiamo valutare le distanze? Abbiamo fatto delle prove contando le pedalate in allenamento?) si parte ma sempre con la testa rivolta agli avversari, quasi li si deve guardare negli occhi per sfidarli e quando ci si sente insidiati si aumenta, psicologicamente l’avversario che non riesce a superare viene demotivato e cede… e se non cede è perchè è uno tosto da battere, tanto di cappello.

Nei 150 metri non alzatevi sui pedali, guardate i pistard non lo fanno mai perchè si interrompe il ritmo, si aumenta da seduti. L’arrivo è solo dopo il traguardo, non pensare di aver vinto prima e tantomeno alzare le mani al cielo. Allenarsi al colpo di reni, che consiste nello spingere la bici avanti ed il baricentro del corpo all’indietro. Si possono guadagnare 15-20 cm che possono fare la differenza. E’ vietato staccare le mani dal manubrio ma i gomiti teneteli belli aperti in modo da evitare che vi stiano troppo vicini e se c’è il contatto fisico con l’avversario è meglio entrare di spalla. Non avere paura, questo è un requisito indispensabile per un velocista, se non ve la sentite, provate da lontano.

Se fate tutto questo e qualcuno vi batte, pazienza, sarà per la prossima, in cuor vostro avete fatto il giusto. L’importante è partecipare e mi raccomando, coraggio e sfida ma state in sella e non a terra… in volata è pericoloso.

Selle Italia Sella Novus Superflow Endurance – Recensione

Toglietevi subito dalla testa che, per il semplice motivo che la sella in oggetto ha un’imbottitura “super” e dimensioni del foro centrale maggiorate, sia adatta per ciclisti in sovrappeso o, in genere, per chi non bada alla prestazione, ma ha come unico punto di riferimento il comfort. Assolutamente no: la Novus SuperFlow Endurance è una sella per lunghe distanze destinata a ciclisti evoluti, e se poi questi ultimi siano anche un po’ in sovrappeso questo è un altro discorso e questa sella potrà fare (anche) al caso loro. Quello che occorre qui ricordare quando si parla della destinazione d’uso di una sella di Selle Italia è che prima delle caratteristiche particolari di quel modello bisogna capire se lo stesso è effettivamente adatto alle caratteristiche ergonomiche dei vari soggetti. Per fare questo, il protocollo che la Casa veneta ha codificato cinque anni fa – e che quest’anno ha ulteriormente velocizzato, con degli strumenti di indagine che consentono di individuare la sella giusta al proprio caso in soli 25 secondi – è quello dell’IdMatch, l’Identity Matching System, un’analisi antropometrica effettuabile presso tutti i dealer autorizzati Selle Italia.

Secondo il protocollo, con i tre step rappresentati dalla rilevazione della distanza delle ossa ischiatiche, del diametro delle cosce e del grado di rotazione del bacino del soggetto, è possibile definire delle classi all’interno delle quali sono poi inseriti tutti i modelli Selle Italia. Ad esempio, la Novus SuperFlow Endurance in versione “L” qui testata (dove la “L” sta per “Large”) è una sella di classe IdMatch L3, cioè un modello adatto per individui con distanza delle ossa ischiatiche di taglia large e alto grado di rotazione del bacino. A tal proposito, aggiungiamo che la Novus SuperFlow Endurance è declinata anche in versione “S”, cioè con larghezza posteriore più piccola (136 mm). In questo caso il modello è pur sempre dedicato a utenti che ricercano il comfort sulle lunghissime distanze, ma la classe di appartenenza è la S3, per ciclisti con il bacino di piccole dimensioni.

L’introduzione della Novus SuperFlow Endurance rappresenta la risposta di Selle Italia ai numeri in continuo aumento degli appassionati di competizioni che richiedono di stare in sella molte ore, anche più di otto. Per esempio, rientrano in questa tipologia di gare endurance le randonnée e le ultracycling e, perché no, rientra in questa casistica anche il gravel biking, disciplina che spesso fa stare in sella giornate intere e che si pratica su fondi stradali sconnessi. Come la Novus Superflow Endurance migliora il livello di comfort? Non soltanto aumentando quantità e spessore dell’imbottitura (qui il foam è impiegato con uno strato doppio rispetto agli altri modelli di Selle Italia), ma anche aggiungendo nelle zone soggette a maggiore pressione del gel, con l’obiettivo di rendere la seduta più comoda e prevenire eventuali irritazioni cutanee sempre in agguato in caso di utilizzo prolungato.

Novus SuperFlow Endurance è solo una delle sette versioni presenti nella famiglia Novus. In particolare, il modello nella foto è quello in versione “L”, cioè con larghezza posteriore di 146 mm, ma è prevista anche la versione S, larga 136 mm. La linea prevede poi la Novus Superflow (a sua volta proposta nelle versioni S e L), sempre con foro SuperFlow, ma con imbottitura standard. La Novus Flow è invece il modello con foro centrale di scarico della pressione di dimensioni standard. Anche in questo caso la disponibilità è in due versioni, S e L. Infine, la Novus TM Flow è la versione economicamente più appetibile della famiglia, con telaio in manganese che consente un prezzo molto aggressivo (99 euro). In questo caso la sella è disponibile solo nella versione con larghezza di 146 mm

Novus SuperFlow Endurance e tutte le sette versioni disponibili di questo modello hanno un peculiare profilo dello scafo. Osservato lateralmente è evidente come la linea di appoggio dimostri una concavitànella parte posteriore. Sulla zona mediana, invece, il profilo tende nuovamente a rialzarsi leggermente per poi invertire ancora la direzione nella parte della punta, dove la sella torna a scendere. Per utilizzare un termine non propriamente tecnico, ma familiare a tanti ciclisti, potremmo dire che la Novus ha un profilo “insellato”, sul quale, cioè, il corpo ha facilità a mantenere una posizione fissa, con poche possibilità di effettuare spostamenti in senso anteroposteriore, come invece accade con i modelli con profilo piatto. La doppia curvatura dello scafo è inoltre corredata da un foro centralecon funzione di scarico della pressione sulle zone molli del corpo, foro che nelle versioni SuperFlow come questa ha dimensioni maggiorate sia in larghezza che in lunghezza.