Il chilometrista ha soprattutto quella particolare capacità che si evidenzia quando la grande forza volitiva, di proseguire nello sforzo, ha il sopravvento sulla fatica. E’ la famosa “stamina” anglosassone; più resistenza psichica che fisica che spinge l’atleta ai limiti di sopportazione sempre più ampi, a scoprire un fisiologico sempre più lontano. La partenza del chilometrista: “la velocità iniziale” Rappresenta la dote fisica fondamentale di questa specialità. Viene genericamente definita come quel complesso di attitudini fisiche che consentono all’uomo di coprire di corsa un determinato spazio nel minor tempo possibile. Nella corsa con partenza da fermo dobbiamo distinguere tre momenti: uno di accelerazione, uno lanciato ed un altro “terribile”di resistenza lattacida.
Attenzione: questi tre momenti sono influenzati da capacità fisiche diverse e quindi allenate in maniera e con contenuti diversi. Il primo complesso di caratteristiche, che consentono di accelerare, e che definiremo capacità di acquisire rapidamente velocità (il lavoro è tipico degli sprinter puri), interessano assai poco il chilometrista il cui avvio in competizione deve essere controllato e non rabbioso, con una accelerazione potente ma fluida e lunga a tasso ridotto. Una troppo elevata velocità iniziale, porta, invece, un più grande consumo della potente “miscela anaerobica alattacida e lattacida”, con la grave conseguenza di riversare nei muscoli, troppo presto, una grande quantità di lattato che crea difficoltà al dinamismo del lavoro muscolare, rendendo meno efficace la prosecuzione. Per correre la seconda parte rimane ben poco carburante potente e la “miscela” si arricchisce di energia aerobica a basso “numero di ottani” che le fibre lente, inesorabilmente interessate, producono. La velocità crolla vistosamente, l’atleta perde molto più di quanto ha guadagnato velocizzando la prima parte, rendendo folle e scriteriato il tentativo. Quelli di ripartizione sono i peggiori errori che questo specialista può commettere poiché non solo rischiano di vanificare gl’impegni nell’allenamento, in conseguenza dei dubbi che l’inadeguato rendimento fanno sorgere sulla sua utilità ed efficacia, ma oltretutto comportano una così spiacevole sensazione di malessere generale, alla fine della gara, da lasciare dannose memorie per lungo tempo. Accelerazione: la forza e agilità Sono i fattori o la causa che determina l’acquisizione ed il mantenimento della velocità. Le espressioni che influiscono maggiormente sulle capacità di accelerazione sono: quella “massima dinamica” (forza massima dinamica: sollevamento di un carico massimale, un peso da fermo) e” l’agilità”. Sotto l’aspetto biochimico, data l’alta intensità e la brevità dello sforzo (60″ circa), si tratta di una resistenza che si manifesta in conseguenza della utilizzazione di energia di risintesi dell’ATP di tipo anossidativo, proveniente dalla degradazione del glicogeno che si definisce “anaerobica lattacida”, poiché il prodotto finale di tale fenomeno fermentativo è acido lattico, o ancor meglio, lattato (un suo sale). La limitazione alla prosecuzione dello sforzo, in questi casi, non è ancora ben chiaro se dipenda dalla impossibilità della muscolatura a sopportare alte acidità o dalla difficoltà della stessa a produrne, o se, invece, non siano responsabili due motivi collegati. Siccome tale fenomenologia di produzione di energia si svolge nelle fibre veloci, se ne deduce che il chilometrista anche per questo motivo deve possedere un’alta percentuale di queste fibre (nei quadricipiti soprattutto) che sono poi le sole capaci di esprimere quella forza “veloce” cui sopra è stato fatto cenno. Da questa considerazione si possono trarre tre deduzioni: la prima è che qualsiasi sprinter possiede le capacità (cioè il motore) per correre il chilometro con ottimi risultati, solo che sussistano quei presupposti psichici di “stamina” e quelli tecnici di facilità di corsa, per realizzare andature veloci ed economiche; la seconda è che la miscela energetica che il chilometrista usa per la sua prestazione è assai povera di energia aerobica, essendo questa prodotta dalle fibre lente che questo specialista dovrebbe possedere in percentuale bassissima; la terza, conseguente alla precedente, è che il corridore chilometrista non deve utilizzare, come mezzo allenante corse di durata, che attingano all’energia aerobica, ma mantenersi, come limite più basso su intensità di corsa che si spingano appena oltre la soglia anaerobica, per essere certi di interessare solamente le fibre veloci. Qualora non si tenesse presente questo consiglio che si da soprattutto gli atleti di alta qualificazione, si rischierebbe non solo di allenare in prevalenza le fibre lente, ma anche di cambiare la cinetica metabolica di quelle veloci, e di trasformare quelle intermedie in lente. Fanno eccezione a questo indirizzo i giovanissimi che possono e debbono utilizzare, come uno dei tanti mezzi dell’allenamento, anche la corsa continua di tipo aerobico, se non diventa un’abitudine troppo marcata. Del resto applicazioni estemporanee di questo lavoro, non possono che giovare al giovane in pieno sviluppo. Il chilometrista utilizza il 30% del combustibile (energia muscolare) dal sistema anaerobico alattacido (fosfati -fosfocreatina), 55% da anaerobica lattacida (glycolytic) e il 15% dal sistema aerobico. Fisiologicamente il metodo migliore per incrementare la potenza anarobica è quello delle ‘prove ripetute su brevi distanze’, dai 50 ai 100 m.) con scatti potenti molto veloci e con un recupero abbastanza lungo (varia dal grado di allenamento del soggetto) proprio per far fronte a prestazioni che richiedono uno sforzo così elevato.
LA RIGENERAZIONE DEL SISTEMA DEI FOSFATI
il sistema anaerobico alattacido, che permette di eseguire gesti alla massima potenza ma per pochi secondi, viene rigenerato completamente in 2-3 minuti. L’andamento evidenzia che dopo 30″ si determini già il 50% del recupero di energia, dopo 60″ il 75%, dopo 2′ più del 90% e dopo 3′ si arriva praticamente al 100% del recupero di energia. Inserire una pausa di recupero tra gli esercizi a potenza massimale e submassimale permette di rigenerare le scorte di fosfati, quindi ritardare la fatica dovuta alla diminuzione dei substrati energetici utilizzati durante l’esercizio e all’eventuale accumulo di acido lattico. Ricordiamo che la sintesi ATP-PC durante la fase di recupero avviene tramite il sistema aerobico, mentre la fosfocreatina indirettamente, grazie all’idrolisi di una parte di ATP che fornisce l’energia per la sintesi della PC. L’importanza del sistema aerobico nel ripristino delle scorte di fosfati si evidenzia con l’aumento del consumo di ossigeno durante la fase di recupero post-esercizio prima del ritorno ai valori basali ( pagamento del debito di ossigeno) che si avevano prima dell’allenamento.
LA RIGENERAZIONE DEL GLICOGENO MUSCOLARE
la risintesi di glicogeno, che entra a far parte del sistema aerobico e anaerobico, dipende da tre fattori fondamentali: la durata dell’esercizio, l’intensità dell’esercizio, l’alimentazione post seduta di allenamento. Dopo l’esercizio lattacido di breve e alta intensità (intermittente) è possibile rigenerare un’importante quantità di glicogeno anche senza assunzione di cibo entro le prime due ore dopo la fine dell’esercizio. Non viene richiesta una dieta di carboidrati superiore alla norma e la completa rigenerazione è molto più veloce che nelle restanti. Quando l’attività fisica ha impegnato prevalentemente il sistema lattacido, per il recupero completo sarà necessario il totale smaltimento dell’acido lattico. E’ stato dimostrato che l’acido lattico prodotto da esercitazioni massimali viene rimosso dal circolo ematico più velocemente se il recupero avviene in modo attivo: un’attività blanda pare abbassi il tempo di smaltimento a circa un’ora. Da esperienze condotte a Barcellona dal dott. Remando A. si è visto che la quantità di lattato ematico dopo una competizione di 1000 metri (sforzo abbondantemente esaustivo per valutare la capacità lattacida) era minore di quella rilevata dopo un test (Vittori) consistente in due prove di 500 metri corse con 2′ d’intervallo, per realizzare il miglior tempo medio. Si può forse ipotizzare, allora, che la limitazione a proseguire la corsa con efficacia dipenda più dalla dinamica di produzione del lattato che da altro, se il suo valore più elevato si riscontra quanto l’accumulo avviene più lentamente ed in tempi successivi e non in una unica rapida soluzione. Tecniche che stimolano una grossa produzione di acido lattico sono cosa buona e giusta per chi vuole aumentare la propria massa muscolare. L’acido lattico fa sì che il pH del sangue diminuisca e a questo fenomeno si associa un notevole aumento di secrezione del GH. L’accumulo di acido lattico è interessante anche perché essendo il glicogeno il suo substrato energetico, nel momento in cui il muscolo supercompenserà si avrà una reazione inversa durante la quale si avrà produzione di glicogeno che andrà a rimpinguare le scorte muscolari dando così fenomeno di ipertrofia. Un po’ di lattato sfugge alla distruzione nel sangue e stimola la produzione di testosterone. Infine l’acido lattico a livello muscolare attiva l’androstenedione trasformandolo in testosterone pronto all’uso, cosa non da poco visto che il testosterone di solito viene inattivato al 90% dalle SHBG e dall’albumina a livello circolatorio, con relativa difficoltà ad arrivare a livello muscolare. Si ha grossa produzione di acido lattico quando si effettuano esercizi alla massima potenza per un periodo di tempo compreso tra 1 e 3 minuti. 1) utilizzo di carichi pesanti con recuperi brevissimi in modo da non dar modo al corpo di smaltire l’acido lattico accumulato. 2) carico medio-alto ripetizioni elevatissime. Ad esempio si può arrivare anche a fare 100 reps con piccolissime pause quando non si riesce più a proseguire.
INTERVAL TRAINING
Risulta essere un metodo di allenamento che prevede l’impegno fisico sempre su distanze, ma rispetto alla seduta di ripetute brevi si deve dare più enfasi alla quantità che non alla qualità. I ritmi di corsa sono quindi meno veloci rispetto alle ripetute brevi, e più corti devono essere anche i tempi di recuperi. La pausa tra le prove dev’essere pari alla durata della fase di lavoro, ed il recupero dev’essere fatto pedalando a ritmo lento. Il metodo classico dell’interval training (friburghese) prevede che non si riparta prima che la frequenza cardiaca sia scesa a 120 battiti al minuto. Questo riferimento è certamente utile per chi si avvicina per le prime volte al metodo di allenamento intervallato.